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[Sturm Greif] Come Folgore dal cielo.
#31
XXXI

Il gioco era iniziato.
Una semplice domanda, innocua, ma che nascondeva il chiaro intento di far emergere il mostro che si cela sotto le spoglie di ogni essere vivente.
Eppure il suono di quella voce era vellutato, allettante.
Sturm volle giocare, e a carte quasi del tutto scoperte.

«Cosa ci ha resi felici nella nostra misera esistenza?»

Sturm stava per rispondere d'impulso, che non c'era stato alcunchè che l'avesse reso felice. Ma sarebbe stata una risposta falsa, data dall'impeto di una rabbia che gli ardeva nell'animo.
Riflettendoci trovò più di una cosa che lo aveva reso veramente felice in quella che s'era dimostrata fino ad allora una vera e propria esistenza misera, degna di un raugh ruathen.

Gli tornò in mente quella volta in cui percepì il basso ventre in subbuglio, come mai aveva sentito.
Il cuore che pompava all'impazzata iniettando sangue ad una pressione così elevata che le orecchie avevano preso a fischiargli.
Il tempo sembrava essersi rallentato.
Il corpo era pervaso di un piacere estasiante, bruciandogli le carni interne, arrossandogli le gote e dilatando le pupille.
Il fiato si era fatto più corto e pesante man mano che il tempo trascorreva.

Davanti a lui un altro paio d'occhi, color della nocciola. Sbarrati. Sorpresi.
La bocca schiusa.
Alito caldo che si mischiava ad altro alito caldo.
I volti vicini, i nasi a sfiorarsi in quell'unione così impensabile.
I corpi vicini, intrecciati tra loro, scossi tra fremiti spasmodici.

La sua Prima Volta.
Ecco cosa più l'aveva reso felice.

La sua prima vittima.

Ricordava ancora il sangue caldo colargli sulla grossa mano che impugnava la spada lunga, infilzata nello stomaco contratto dell'uomo di mezz'età che aveva di fronte, bianco e tremante.
Vestiva una livrea blu con al centro del petto ricamata una grossa moneta d'oro a rappresentazione di una fede a quell'epoca ancora sconosciuta a Sturm.
La livrea s'era macchiata, annerita dal sangue denso che fuoriusciva dal colpo inflitto che ancora indugiava nel bel mezzo dello stomaco.
Sturm vide la vita negli occhi castani che lo fissavano svanire gradualmente. Il fiato dell'uomo farsi sempre più flebile, il corpo più rigido e pesante.

Sturm capì di avere nelle mani la possibilità, il potere, di dare morte.
E quella consapevolezza lo spaventò piacevolmente poichè mai avrebbe pensato di poter godere così tanto della morte di qualcuno, di un perfetto sconosciuto, di un padre di famiglia, di un figlio suo coetaneo, di un possibile fratello.

Il tempo sembrava essersi fermato completamente e Sturm potè scorgere ogni imperfezione di quell'uomo che doveva aver lavorato sodo per arrivare fin lì. Seguì con lo sguardo ogni ruga, ogni piega, potendo quasi leggere tutto il passato di quel suo sconosciuto nemico, divenuto preda e poi vittima.
La voce di Berrion, che già era venuto a mancare da anni, riecheggiò nella sua testa. Le parole richiamarono altri ricordi.

Berrion era tornato da una razzia riportando con sè diverse ricchezze e uno stuolo di prigionieri: un paio di donne avvenenti, e almeno una decina di uomini robusti. Tra di loro però spiccava la figura di un giovane dalla faccia sfigurata dal dolore e la sofferenza.
Sturm non si spiegava il perchè Berrion avesse perso tempo e denaro per accaparrarsi un individuo del genere. Solo successivamente comprese le sue intenzioni.

All'esterno, nello spiazzo che precedeva la loro casupola Berrion attendeva Sturm. Era accompagnato da un paio dei suoi più fidati compagni di razzia che trattenevano tra le braccia robuste il giovane emaciato.
«Vieni Sturm. Osserva attentamente e rammenta sempre»
Di tanto in tanto Berrion gli impartiva lezioni pratiche di combattimento, dalla tecnica al modo di pensare, ai sentimenti che si impossessavano dell'uomo durante una battaglia, o durante un'uccisione.
Quel giorno la lezione era incentrata sull'uso della spada lunga, su affondi e fendenti, e Berrion aveva deciso di cominciare con una dimostrazione pratica e brutalmente reale.
Il giovane emaciato dovette intuire facilmente cosa gli sarebbe spettato da lì a poco e con sempre più terrore negli occhi cominciò a contorcersi nel vano tentativo di liberarsi dalla morsa dei due ruathen che lo tenevano fermo.
Implorò di paura, piangendo e bagnando di umori flatulenti le brache.
Sturm storse la bocca a quella prima dimostrazione.

«Non farti mai impietosire dal tuo nemico Sturm, basta anche solo un attimo di esitazione perchè tu possa soccombere. E' necessario essere concentrati e colpire con fermezza, senza prendersi la libertà di sottovalutare il proprio avversario. Il nemico va puntato...» allungò il braccio che brandiva la spada, tendendolo e poggiando la punta dell'arma sul petto allenato del giovane emaciato «... e poi abbattuto come fosse un lupo famelico che vuole sbranarti. Senza ripensamenti!»
Con una movenza veloce fece scorrere la lama sull'addome del ragazzo, quindi con un uno strattone vigoroso piantò la spada. Il ragazzo si impietrì, gemendo lamentoso, ma non caracollò a terra, anche dopo che i due ruathen lo avevano rilasciato.
«Non serve pietà. Non devi mai averla. Non porti domande. Neanche quando il nemico rimane in piedi. Quello, incredibilmente, è il momento peggiore per un combattente: i dubbi ti assalgono, le domande ti tempestano la mente. Chi è questo? Perchè devo combatterlo? Ha una famiglia? Magari è un amico che non riconosco? Sgombera tutto Sturm. Quando il tuo nemico rimane in piedi, colpisci ancor più forte. Gira la lama e sfilala. I muscoli serrati della tua vittima ti saranno di ostacolo. Braccio e presa fermi, più che mai. Insensibilità».
A dar credibilità alla proprie parole Berrion ruotò la lama nell'addome del ragazzo ed estrasse l'arma. Il tutto con velocità e risolutezza. Solo allora il povero emaciato crollò a terra, tra sangue ed escrementi.

Sturm infilzò ancor di più la lama strappando un ulteriore sordo gemito all'uomo. La rigirò e con uno strattone sfilò la spada dal corpo, spintonandolo via con il piede.
In piedi, ansimante, madido di sudore, osservò il corpo senza vita dell'uomo steso a terra.
Perchè diamine era così eccitato da quella visione?
Aveva sentito da molti combattenti che i volti di coloro che si uccidevano rimanevano impressi nella mente, spesso strappando notti insonne.
Per lui invece non fu così. Aveva compreso di aver trovato il suo posto: combattere e uccidere.

Quella stessa sera, di ritorno dalla razzia, Sturm dovette sfogare i suoi istinti con birra e il desiderio della carne, pagando con la moneta di Waukeen che aveva rivenuto sul cadavere dell'uomo.

Quanto era stato estasiante! Quasi quanto l'aver perso la verginità.

La sua Prima Volta.
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#32
XXXII

Mistledale.

A Ruathym circolavano molte leggende circa un passato altrimenti dimenticato, di una spaventosa guerra durata secoli e secoli.
Lo scontro tra gli Æsir, gli dei, e i Vanir, i Figli della Magia.
Un conflitto che era nato per la supremazia assoluta e che aveva perdurato per un'eternità infinita, impossibile da catalogare in terminologie umane, persino elfiche.
Ciò che dicevano le leggende è che i subdoli Vanir, potenti signori capaci di manipolare con facilità la magia, cercarono spesso di invertire la scala gerarchica, tentando di impossessarsi della volta celeste degli Æsir e dominare sul mondo intero, il Midgard, la Terra di Mezzo. Il conflitto tra le due fazioni fu violento ma alla fine si giunse comunque ad una riappacificazione tramite uno scambio di ostaggi. Ciò però non cancellò la pessima fama creatasi intorno ai Vanir, i quali continuarono ad essere dipinti seppur potenti, come pericolosi e subdoli. La cosa migliore era evitarli, come la peste.
C'era anche un detto che Sturm ricordava piuttosto bene: Meglio un cadavere dentro casa che un Vanir davanti la porta. Un fatto del genere poteva significare solo guai.

Trovarsi di fronte quella figura così magnifica ma allo stesso tempo spietata fu come essere travolti da un ciclone che portava con sè l'odore di casa.
Shaylee Muil, Signora del Bosco del Grigio Crepuscolo, questo il nome e il titolo della Vanir, o folletto, che si era palesata dinanzi a tutto il gruppo.
Sturm cominciò a pensare che la bellezza camminasse a braccetto con l'asfissiante bisogno di dover giocare forzatamente a qualcosa. In quel caso però tutti furono un pò costretti a partecipare, soprattutto dopo esser stati testimoni del bruttissimo e invisibile colpo subito da Aslaug.
C'era poco da scherzare e quindi tutti, Sturm compreso, si erano rassegnati a prendere parte a quella perdita di tempo.

E' dura combattere la noia quando si è abituati fin da subito al potere, a fare tutto, senza il minimo rischio, senza sudare una minima goccia di sudore; il piacere di ottenere qualcosa semplicemente svanisce, poichè non c'è attesa che possa alimentare il fuoco dell'ardore per qualcuno o qualcosa. E la noia era ciò che affliggeva la Vanir. Cercava qualcosa che potesse stimolarla, in tutti i sensi.
Era innegabile che Shaylee suscitasse un desiderio e una malizia irrefrenabile, non fosse stato un ruathen Sturm era sicuro si sarebbe gettato ai suoi piedi implorandola di prendere lui come sollazzo lussurioso, ma il fatto che fosse quella che lui definiva una Vanir, lo aveva fatto esitare su un pò tutto: anche sulla possibilità di finire in mezzo ad un'orgia. L'occhiata di Aslaug era stata palese e contrariata, era evidente che lei, indomita com'era, non si curasse minimamente della natura della Signora del Bosco del Grigio Crepuscolo. E Sturm sapeva che in cuor suo si sarebbe mangiato le manone finendo per pensare e immaginare qualche unione piccante.

«Scegliete un desiderio e se sarà abbastanza interessante ve lo concederò»
Optò per il lungo abito che indossava la Vanir che senza problemi si era denudata davanti a tutti loro. Apoteosi. Persino Sitkah aveva ammesso fosse innegabilmente bella.
Dopo aver arrotolato l'intero abito fino a farlo diventare un fagotto ne annusò la fragranza che subitamente gli annebbiò la mente. Pochi istanti che però parvero lenti attimi interminabili.
Il vero desiderio venne a galla come le bollicine frenetiche scaturite da qualcuno che affoga. E con il desiderio, profondo e intimo, quasi dimenticato, tornarono ricordi anche più freschi.

Osservava gli occhi da gatta davanti a sè, che lo scrutavano nel tentativo di penetrargli l'animo e sondargli la più oscura intimità.
La tensione era scoppiettante e le nudità davano maggior adito ad un desiderio represso a fatica.
«Non possiamo concederci queste libertà Sturm è... distruttivo»
La voce vellutata fu come una leggera carezza sul volto.
«E' quello che faccio: combatto, uccido, distruggo. Sono disposto a correre il rischio per qualcosa, o qualcuno come te»
I begli occhi continuarono a scrutarlo.
«Cosa vuoi dirmi?»
Per un istante fugace Sturm potè vedere nei bellissimi occhi che aveva di fronte perplessità, contrarietà, e paura.
Era necessario mettere le cose in chiaro.
«Non è l'amore che cerco, non perchè non lo voglia provare ma perchè proprio ci sono rimasto scottato. Una bruciatura che ha fatto male ancor più di una lama piantata nel petto. Non voglio più niente di simile. Non voglio...»

«... lasciarti qui da sola Sakara» con entrambe le mani tratteneva il volto della giovane ragazza, fissandola. I suoi occhioni azzurri risplendevano in quel flebile riverbero emanato da una torcia lontana. I suoi capelli rossi, sparsi sui mucchi di paglia sembravano fiamme pronte a dar fuoco a tutto. Sturm potè notare l'indecisione nello sguardo della ragazza e la tenue luce di paura che parve attraversarla, facendole fremere tutto il corpo.
Erano entrambi ancora caldi dopo un'unione spontanea. 
Avevano fatto l'amore.
«Greif, se papà sapesse che ho intenzione di venire con voi a Ruathym, mi spedirebbe nel villaggio di suo fratello. Ho paura di lui, quasi quanto ne ho di Rhokka»
«Rimanendo qua però saresti sua preda. Lo sai che mire ha quel dannato. Vieni con me, imbraccia le armi. Rost non sarà altro che fiero di te, benedirà la nostra unione e potremo dare inizio ad un'altra forte generazione. Andremo a razziare in lungo e in largo e farò di te la mia jarl»
«Greif quanto ti piace sognare. Vola basso, ricorda che sei un puledro e non uno stallone, non ancora almeno. E ricordati anche che sono legata da un giuramento. Se dovessero scoprirci qua, ora, non faremmo una gran fine. Quindi và, senza di me, e torna per infrangere quel giuramento. In quel caso allora papà avrà un buon motivo per benedirci entrambi, sarebbe la sua seconda volta. Lo ha fatto anche con tuo padre e tua madre»
«Jau, e proprio perchè ora non ci sono più devo andarmene. Devo...»
«Non mi devi spiegazioni, Sturm. Devi, basta così. Lo so. Ora zitto».
Sturm perse concezione del tempo ma quando tutto fu consumato e il tepore del piacere e delle membra rilassate scemò rimase disteso a guardare la ragazza Baciata dal Fuoco, Sakara Chioma Cremisi, figlia di Rost Chioma Cremisi.
Lei aveva appena terminato di acconciarsi ordinatamente i capelli, lunghi e fluenti.
Si era già rivestita. Quanto era bella e che moglie sarebbe stata. Aveva il profilo degno di uno jarl.
Dovette sentirsi osservata poichè si voltò a guardare lo stesso Sturm con occhi che trasmettevano tanta aspettativa ma anche fiducia incondizionata. 
E tanto amore.

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Era appeso in uno spiazzo che precedeva la città di Ruathym. Darbth aveva dato ordine di far appendere a dei pali verticali lungo il bordo del sentiero tutti i ruagh ruathen condannati. Tutti dovevano avere la possibilità di guardare in faccia quei fallimenti umani.
Le braccia dolevano incredibilmente sollevate sopra il capo, erano in quello stato da almeno un paio di giorni. Senza cibo e senza acqua. Qualcuno aveva già tirato le cuoia.
Erano così esausti e prossimi alla morte che ormai avevano deciso di tenere per sè il fiato.
Sturm era considerato uno dei più cocciuti là in mezzo, e soprattutto uno dalla lingua lunga e aguzza. Il che gli aveva procurato dei lunghi pestaggi che lo avevano tumefatto.
Conservava ancora un briciolo di forza per alzare il capo e guardarsi intorno, nella speranza di trovare qualcuno che potesse capire che erano solo dei pesci sani finiti nella corrente della corruzione e spacciati per marci e velenosi.
Nella penombra di una torcia vide effettivamente qualcuno.
Non passava nessuno a quell'ora, se non qualche manipolo di cacciatori e combattenti che pattugliavano i sentieri.
La figura s'avvicinò ancor di più, un cappuccio a coprirle il volto e una tunica lunga, scura a mascherare tutto il resto del corpo.
Solo quando la figura fu più vicina Sturm potè scorgere e riconoscere i tratti di quel viso così tanto amato.
Era Sakara.
Doveva aver saputo ed era venuta per salvarlo, infrangendo il suo giuramento.

Quando però Sakara scoprì il viso Sturm non vi lesse alcun sentimento d'affetto. Bensì, nei bellissimi occhi chiari baluginava la luce dell'odio e del disprezzo più totale.
Sturm percepì il cuore incrinarsi e perdere due battiti. Prese la dolorosa consapevolezza della scomparsa di Rost Chioma Cremisi, anche lui probabilmente finito ammazzato durante quella che doveva essere la Grande Razzia.
Non aveva forza per parlarle, di spiegarle.
"Non farlo Sakara, non farlo ti prego!" quella preghiera gli martellò il cranio quando vide la ragazza, tumefatta in volto anche lei, avvicinarsi ancor di più.
Sturm comprese: con la morte di Rost il giuramento era da considerarsi infranto e lo spietato Rhokka doveva esserlo venuto a sapere prendendo con la forza ciò che riteneva un bocconcino degno della sua attenzione.
"Qualunque cosa accada Greif sarò con te, qualsiasi cosa" Sturm ricordò le parole di lei, sussurrate all'orecchio dopo aver fatto l'amore.
La lacrima che comparve venne istantaneamente coperta dallo sputo sprezzante della ragazza.
Sakara fissò rabbiosa colui a cui si era promessa, nello sguardo albergava solo delusione e rassegnazione per un destino spezzato e precipitato nell'abisso di Hel.

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E Sturm capì, affranto, che l'amore era qualcosa di volatile, come tante altre cose in quel mondo, e che bastava un niente per cancellarlo, schiacciarlo ed affossarlo.
Pianse in silenzio, assorbendo molto lentamente l'ultima batosta assestata da quel destino così malvagio ed insidioso.

Durante la notte aveva deciso di scendere nella sala della mescita. Le terme erano chiuse. C'era ancora qualche boccale semi pieno, lasciato lì da chi aveva ceduto prima all'alcool.
Ne arraffò qualcuno, aiutando gli sguatteri che stavano ordinando la sala.
Scolò tutto quanto poteva, fino a stordirsi, affievolendo quella sensazione di perdita, rabbia e nervosismo crescente.

«Perchè non le ho chiesto di togliermi i ricordi?»

[Quest DM Cyrano]
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Cita messaggio
#33
XXXIII

«Non sai quel che dici, te ne pentirai, ti perderai»
«Chi ti dice che non abbia già raggiunto il fondo del barile? Che sono già perso da tempo?»
I begli occhi da gatta inchiodavano lo sguardo gelido del grosso ruathen, i due corpi intrecciati e troppo vicini perchè certi istinti potessero celarsi.
«Pensi di esserne sicuro? Convinto?»
«Jau, assolutamente»
Le labbra si avvicinarono sinuose all'orecchio, sussurrando sommesse scintille oscure: «Allora voglio che tu chiuda gli occhi e pensi a ciò che più odi: un volto, una persona, un qualcosa. Un mostro. Voglio che monti la rabbia, voglio vederla uscire, straripare. Lascia che mi colmi dei tuoi più oscuri abissi...»

La volontà cedette inesorabilmente, fratturata dapprima dalle crepe della seduzione ed infine frantumata dalle fiamme nere dell'odio, della rabbia e dell'istinto omicida.
Era stato versato combustibile su della brace che ardeva da tempo immemore, infinitamente calda, inesauribile ma che era rimasta sopita da divieti e da un'imposizione forzata e volontaria.

Aveva rinvenuto un pozzo arido, privo del suo contenuto dissetante. Lo aveva trovato e vi si era insediato ammaliato dalla nenia invitante. Un pozzo vuoto, che non chiedeva altro di essere riempito, ma non di acqua bensì di sangue e oscurità. Gli aveva ceduto quanto richiesto, lasciando fluire dentro di sè tutti quegli istinti che per la prima volta dopo tanti anni venivano accolti invece che respinti. Vuotò tutto se stesso dentro quel pozzo infinitamente profondo, dando adito ad impulsi fin troppo repressi. E mentre che il pozzo si dissetava di quell'oscurità questo rilasciava ulteriore combustibile, alimentando le fiamme oscure che s'erano innalzate ad avvolgere l'animo intero, sgretolato e rinato sotto una luce assente, un vuoto assordante ed un nero impenetrabile.  
Non v'era altro che gratuita violenza e famelica brutalità.

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Non delicatezza. Non amore. Nessun conforto.
Solo avido desiderio e cieca furia.
Una spirale di sentimenti sempre più distruttiva, e seducente allo stesso tempo, che vuotava uno e saziava l'altro in un circolo vizioso senza fine, che precipitava sempre più negli abissi.

Non capitava più una cosa del genere dal furente ed intimo incontro con Jarl Froston che sin da allora aveva scorto i neri nuvoloni tempestosi che scuotevano l'animo battagliero del grosso giovane ragazzo. Lei voleva quella tempesta, lui la percepiva ma non era cosciente, e con lei l'aveva conosciuta.
Gli eventi avevano addensato ancor di più quelle nubi, scaturendo lampi e saette. L'infamia del tradimento aveva scatenato gli schiocchi dei tuoni e il guizzo mortale delle folgori.
E ora anche i mari venivano scossi, con le fragorose onde a travolgere ed i fermi scogli ad infrangere.

Aveva dato tutto se stesso, ogni goccia, ogni essenza di sè, ogni microscopico frammento d'anima messo  alla luce pronto per essere assorbito, dilaniato e poi divorato con famelica insaziabilità.
Si era talmente consumato in quell'atto così estremo da perdere completamente la percezione di tutto ciò che era avvenuto nei tempi recenti. Sfibrandosi sempre di più mentre le fiamme esplodevano nel loro massimo fulgore.

Consumando entrambi.
Saziando entrambi.

Su quello scenario sconquassato dalla tempesta era calata una pericolosa oscurità.
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Cita messaggio
#34
XXXIV

«Le hai mostrato il resto del messaggio?»
«Jau, ho qui la risposta. Te la mostro»
«Con calma Sturm, questa volta con calma. Prima accendimi. E nel mentre resisti mh?»
«A cosa?»
La mano affusolata della genasi si fece strada sul capo del grosso combattente, afferrandogli i capelli neri dietro la nuca. Lo costrinse a piegarsi con sorriso mellifluo verso un'invitante, intima e passionale prospettiva.
La mano che teneva il capo si fece calda.
Sturm oppose resistenza al caldo insistente.
Ma più scendeva e scorreva con lo sguardo il corpo sinuoso della genasi più il tocco si faceva infuocato.
Il calore divenne fuoco, e il fuoco divenne inferno.
La testa bruciava troppo.
Resistere divenne impossibile.

Si ridestò di botto dallo stato d'incoscienza in cui versava. La testa gli bruciava dolorosamente, così come le labbra screpolate e la pelle già scuritasi e indurita.
Era un'altra delle sue fantasie che molto di frequente venivano a vessarlo nei momenti di svenimento, dandogli l'illusione di una vivida realtà, e rendendo ancor più sofferente il risveglio che ne seguiva.
Non c'era nessuna Darsa lì in mezzo a quello sperduto deserto dove era stato lasciato da chissà quanto tempo.
Il sole, sommo re indiscusso di quelle lande desolate, svettava sullo zenit nel pieno del suo fulgore irradiando bruciante calore. La testa e il volto gli bruciavano per quello. In realtà il cervello era sicuro stesse bollendo. Se qualcuno gli avesse aperto il cranio avrebbe di certo trovato una sorta di strana zuppa rossastra nel pieno della bollitura.

Provò a muoversi ma con scarsi risultati.
Poteva ruotare solo il collo entro un certo limite, il resto del corpo era immobilizzato dal resto del deserto in cui era stato completamente piantato ad eccezione della testa.
Nel cielo limpido e azzurro giravano in circolo le lontane figure di tre avvoltoi che attendevano pazientemente di banchettare sulla futura vittima. Con ali spiegate proiettavano lente ombre che di tanto in tanto, per brevi istanti, oscuravano la figura fulgente del sole.
Sturm sapeva che quei mangia carogne erano lì per lui. Aveva visto corvi e uccelli simili comportarsi alla stessa maniera, sul campo di battaglia, attendendo che i feriti prossimi alla morte tirassero le cuoia.

Come era finito in quell'ennesimo scherzo del destino? La Morrighan s'era ripresentata piuttosto palesemente.
Sturm cercò di ricordare, di riallacciare quel fiume di immagini confuse che si susseguivano scaturendogli un tremendo dolore della testa. Effettivamente la nuca pulsava.
Ricordò che un colpo lo raggiunse proprio là. Ma quanto tempo fà? Giorni? Settimane? Mesi?

Da lì a qualche giorno sarebbe partito insieme al mago Sek e ad altri due membri per una bella e glorificante caccia al gigante. Quella sera, dopo giornate passate ad allenare il corpo a spostare grossi tronchi e grosse pietre, il grosso ruathen aveva deciso di concedersi una serata di completa baldoria.

«Creduimi o nuo, puosso arriwuare a casa tua ihc! In verticuale, su un duito, entruare, fottermi tua madreh e tornare quah, siemprue in verticuale, sull'indiceh!»
«Ehi che hai detto su mia madre?! Dannato bifolco vieni di fuori che ti concio per le feste!»
«Suei siguroh? E andiamo allora, ti spaccuerò la tuestah e ci farò la mia puinta persuonaleh ich! SKAAL!!!»
Le risse da ubriaco erano sempre le più belle. La fatica tardava ad arrivare e il combattimento sembrava interminabile. Il dolore veniva a galla solo se eccessivo. Sturm poteva continuare a picchiare per inerzia in quello stato d'ebrezza.
Fuori dal locale però, lontano dalla città di Essembra, in una scura radura la situazione mutò completamente.

«Ripetimi un pò il tuo nome, sacco di letame»
«Sturm» il nome fuoriuscì biascicato e a bocconi.
Dalla radura emersero altre figure, almeno sei, che brandivano qualcosa.
«Ah eccone un altro. Gli Sturnn li fanno con lo stampino eh?! Sempre sbruffoni. Prendiamoci la rivincita ragazzi, addosso!»
«Stuournn? Nuo nuo, St...»
Il colpo che gli arrivò dietro il capo non lo vide neanche arrivare. Percepì solo uno schiocco tremendo prima di essere inghiottito in un nero interminabile.
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Cita messaggio
#35
XXXV

Una brezza fresca e leggera aveva accolto Sturm in una mattina tranquilla, rischiarata da un sole luminoso. Qualche nuvola bianca punteggiava il cielo azzurro attraversato di tanto in tanto da nutriti stormi di uccelli che si lasciavano cullare dal soffio del vento.
Una mattina calda, non soffocante, ideale per uscire dalla propria tanta e dirigersi a svolgere le proprie mansioni, che lì, nell'isolato e piccolo villaggio di Hap, andavano dal coltivare la terra al tagliare alberi, arrivando infine a spendere il resto del tempo rimasto nell'unica taverna presente, tra chiacchiere, cibo e alcool vario, o dedicando delle preghiere in uno dei due luoghi sacri situati in loco: il piccolo tempio di Lathander e l'altare del Cavaliere Rosso.

Da quel che Sturm aveva potuto  sentire, Hap negli ultimi tempi aveva avuto un incremento di attività, produzione e crescita demografica. V'erano stanziate lì ben tre diverse guarnigioni che garantivano una presenza costante di uomini e donne capaci, addestrati nell'uso delle armi, pronti a difendere il villaggio da qualsiasi minaccia si fosse palesata.
C'era la guarnigione locale lì stanziata dall'ormai defunto Lord Ilmeth; vi era la sede e guarnigione permanente dei Manti Scarlatti, compagnia mercenaria divenuta poi ramo d'elitè dell'esercito di Battledale, sempre per concessione di Lord Ilmeth nei confronti di Garlak Sturnn, Comandante dei Manti Scarlatti; per finire, aggiunta recente, poco fuori dal villaggio, era stata eretta la sede delle Lame d'Argento, ennesima compagnia mercenaria e di ventura, ancora indipendente.

Tra le recenti novità, da quando era tornato alla civiltà, Sturm aveva trovato una nuova struttura ancora: la bottega di Derek l'Impomatato.
Per quanto detestasse e mal sopportasse l'eccessivo uso di oli e profumi usati da Derek, Sturm era riuscito ad allacciare delle trattative e dei rapporti lavorativi con lui che lasciavano ben sperare. La bottega offriva articoli interessanti di vario genere che avevano destato le sinistre mire di un'influente maga rossa thayan la quale, da quel che Sturm aveva appreso proprio da Derek, stava tentando di imporre un'egemonia commerciale sotto il sigillo dell'Enclave Thay presente a Essembra.
Il che lasciava presagire uno scenario teso e piuttosto caldo.

Non caldo e cocente quanto le sabbie del deserto.
Quella mattina Sturm era da poco rientrato da una spedizione di taglialegna, qualche minuto di riposo e avrebbe iniziato il suo nuovo incarico presso la bottega come guardia e sorvegliante.
Appoggiato al bordo della muraglia del pozzo immerse il secchio nell'acqua. Lo fece riemergere colmo d'acqua, con uno strattone vigoroso, tirando verso di sè la fune.
Afferrò il secchio con entrambe le manone, chinò la testa in avanti e lasciò che l'acqua gelida fluisse sul capo, bagnandolo completamente.
Sturm sospirò rilassato dopo aver rilasciato con noncuranza il secchio nel pozzo, e rimase lì, poggiato con le braccia energumene sul bordo pietroso, a contemplare la propria fioca immagine ondeggiante che lo specchio d'acqua rifletteva.

Rivoli d'acqua gelida scesero dal capo verso il collo e poi giù, lungo la schiena e il torace, scaturendo brividi in tutto il corpo. Il grosso ruathen chiuse gli occhi.

Era di nuovo nel deserto, senza cibo e senza acqua. Intorno a sè focalizzò dune lontane ed ondeggianti, il calore era estremo. Parvenze di storte e rinsecchite piante a lui sconosciute spuntavano tra la sabbia, nel vano tentativo di germogliare nel loro verde vitale. O forse era proprio quella la loro forma?
Smise di chiederselo praticamente subito quando il leggero e caldo sussurro del vento smosse le sabbia, rivelando ossa sparse. Crani, cavità vuote, mascelle spaccate, femori, costole, casse toraciche. Ossa, a non finire.
Alcuni teschi che sbucavano dalla superficie arida lasciavano supporre a Sturm che tanti altri, prima di lui, uomini, uomini bestia, e mostri, avessero avuto la sua stessa sorte: inchiodati letteralmente nel bel mezzo del deserto.

«Che guardi?»
Sturm trasalì. Inarcò le sopracciglia in una smorfia di sorpresa nel riconoscere quella voce con la sua stessa cadenza ruathen. Ruotò lentamente il capo di lato fino a raggiungere con lo sguardo il suo improbabile interlocutore.
Fjolnir figlio di Bjorful, l'Orso Biondo di Ruathym.
«Come... Perchè sei qua?» parlare era faticosissimo, la gola bruciava e le labbra screpolate ed infettate lasciavano in bocca il retrogusto metallico del sangue.
Anche il biondo guerriero sembrava essere lì da chissà quanto tempo, la folta barba che s'impastava con la sabbia, la cespugliosa chioma color del grano completamente sciolta.
«Perchè tu mi vuoi qua. Perchè lo vuoi? »
«Io non... »
«Te lo dico io, risparmia le forze, ti serviranno.
Le mie ambizioni, il mio progetto. Pensi che ora siamo sullo stesso piano, che entrambi siamo  raugh ruathen e che insieme possiamo condividere lo stesso dolore e le stesse sofferenze»
«Ma...»
«Mi vuoi perchè pensi che con questa empatia possiamo trarre forza l'uno dall'altro. Siamo bloccati qui ma in realtà uscirne è molto semplice. Basta muoversi».
E come a dar credito alle proprie parole il biondo guerriero estrasse entrambe le braccia dal suolo. Poggiò le mani callose sulla sabbia cocente e dopo aver contratto i muscoli si issò verso l'alto, sgusciando via dal ferreo abbraccio del deserto. Indossava tutta la sua armatura. Scrollò da dosso a sè la sabbia in esubero e dall'alto verso il basso guardò Sturm con un cipiglio strano e sguardo critico.
«Mi odi per quel che sono, per ciò che sono riuscito a raggiungere a tuo dispetto, nei sei invidioso. Ma allo stesso tempo mi rispetti, per quel che sono, ti sono di ispirazione.
Ti dirò perchè rimarrai qui. Perchè sei un raugh ruathen e quelli come te sono destinati a una fine del genere. Non lo vuoi ammettere ma sei convinto di questo. Però c'è una via d'uscita. La convinzione di essere altro, molto di più o molto di meno. Liberati di quel che dicono o pensano gli altri. Come pensi mi sia liberato io? C'era la possibilità che io diventassi come te, Sturm, che altri mi definissero tale e uguale a te ma ho semplicemente trovato la convinzione che no, non lo sarò mai. Questo mi ha permesso di muovermi. E tu? Tu che aspetti? Liberati».

Detto ciò Fjolnir voltò i tacchi e mosse un passo per allontanarsi.
«Fjolnir! Aspetta... diamine, aiutami a uscire da qui... ti... prego»
Il grosso combattente ruathen arrestò per un attimo il suo intento e volse il capo di lato, a guardare dietro di lui, oltre il proprio spallaccio rinforzato.
«Che razza di uomo sei? Prega se vuoi, prega che la forza non ti manchi. Ma liberati. Da solo. Odiami se vuoi, rispettami se vuoi»
Il biondo combattente quindi riprese la sua vigorosa marcia, allontanandosi, sparendo in un filo di sabbia man mano che il vento soffiava forte su di lui.
Svanì in tantissimi innumerevoli granelli quasi fosse un fantasma.

La testa riprese a girare forte. La nausea salì assieme alla bile che fuoriuscì dalla bocca, riportando Sturm alla realtà.
Vicino a lui vi era solo un teschio che lo fissava, con la bocca ossuta spalancata in un ultimo atto di asfissia totale.

Ammiccò più volte tornando all'attualità, dinanzi lo specchio d'acqua del pozzo.
Hap
Poteva percepire ancora il calore sul capo.
Lo sciacquò una seconda volta, dopodichè lo asciugò con la propria maglia di lana smanicata.
Doveva prepararsi per il nuovo incarico.
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#36
XXXVI

Gli aveva inciso la fronte con un lungo taglio orizzontale, così che il sangue potesse sgorgare e lentamente scendere verso il basso a mascherare di rosso tutto il viso.
Poi gli aveva squarciato una guancia. Dall'estremità della bocca, passando per lo zigomo, fino all'orecchio.
Era il termine di un lungo supplizio ove l'inizio era perso nel tempo.
Sturm non sapeva da quanto tempo la rossa cacciatrice lo stesse martoriando, non sapeva se aveva resistito o ceduto a quelle inimmaginabili brutalità, se avesse pianto o urlato dal dolore, se avesse stretto i denti resistendo, vomitando oscenità e insulti.
O se l'avesse pregata di continuare quelle sevizie, sollecitandola nel fare del suo peggio.
Tutto questo, non lo sapeva.

Sapeva però che avevano raggiunto il culmine e che ora, lei, la Baciata dal Fuoco, pretendeva di banchettare con il suo sangue.
Sotto una palpebra resa pesante dalla stanchezza, dal dolore, dalla sofferenza e dall'immane quantità di sangue persa, Sturm potè incontrare lo sguardo selvaggio e acceso della cacciatrice.
La pupilla di quegli occhi azzurri completamente dilatata in una sensazione di frenesia sempre maggiore.
Il sorriso affilato e predatore, di chi sa di avere il più completo potere e che già pregusta la prelibata leccornia postagli su di un piatto d'argento.

Il dolore persisteva, ed era tanto.
L'eccitazione e il piacere perverso erano altrettanto.

Le vene presero a pompare più forte quando la cacciatrice s'avvicino di più al volto di lui, con sguardo avido e feroce.
Poi come una lupa assetata da tempo immemore la Baciata dal Fuoco tirò fuori la sua lunga rosea lingua, deponendola sul volto del grosso ruathen.
Leccò lentamente, portandosi via abbondanti porzioni di sangue, schioccando piacevolmente la lingua una volta bevuto il nettare che la predatrice andava cercando.

La guancia. Lo zigomo. Il mento. Le labbra. Poi di nuovo lo zigomo, e poi il collo, e poi la fronte.
Sturm si beava e si contorceva sotto quel tocco sublime, impossibilitato a muoversi. 

Il tocco umido della lingua indugiò all'altezza del naso e poi di nuovo sulla fronte, e successivamente ancora sul naso "Ma cosa sta facendo? Cosa vuole?" pensò Sturm.
Riuscì a scostare la testa da quelle strane leccate e guardò meglio la sua feroce aguzzina. Questa ricambiò con uno sguardo ora vacuo e quasi perplesso. Tentò di dire qualcosa ma quel che ne uscì fu solo uno stranissimo bramito.
Sturm rimase decisamente perplesso.

Di nuovo un bramito.
Poi un altro ancora.
Saliva, lingua, bava sul volto, lingua.
I bei tratti nordici della rossa ondeggiarono spaventosamente, distorcendosi, mutando ed infine assumendo le reali forme del muso di un cammello che sostava lì a leccare il volto del ragazzone.

Un camminatore del deserto !

Sturm per quel che potè piegò indietro il capo cercando di distanziarsi dalle attenzioni dell'animale. Non era mai stato bravo ad ammansire gli animali. Persino con i cavalli aveva trovato enormi difficoltà.
«Ehi mrh, bello, eddai, piantala... piantala... PIANTALA!»
Di tutta risposta il cammello emise un lungo lamento, ritraendo il muso nell'alzare il collo lungo. Poi lentamente e con superficialità si voltò dando il posteriore al volto del guerriero.
Aveva una sella aggrappata intorno al corpo peloso che tuttavia pendeva solo da un lato, strusciando sulla superficie sabbiosa. Il cavaliere di quell'animale doveva essere stato disarcionato chissà dove e quanto tempo prima.
«No bello... rimani qua, aiutami a uscire, vieni qua ch ch ch ch».
Il cammello ruotò il muso ad osservare l'umano piantato nella sabbia, emise un altro bramito, dopodiché defecò direttamente sulla testa del grosso ruathen.

Sturm non potè far altro che trattenere il respiro, chiudere gli occhi ed inclinare il capo.
Neanche a dire fosse fresca.
Sembrava lava, ma decisamente più puzzolente.
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#37
XXXVII

Sturm poteva affermare di aver visto svariate tipologie di terreni e scenari ambientali durante la sua giovane vita, che andavano da spoglie montagne innevate a rigogliose pianure ricche di fauna.
Il Mare di Sabbia, così chiamato a Ruathym, era stato solo un lontano profilo giallastro adocchiato a bordo di una delle drakkar che costeggiavano il perimetro occidentale del Calimshan.
Una volta iniziata la sua nuova vita sul continente Sturm era venuto a sapere che di deserti ce n'erano molti e che il più famoso e il più vasto fra di essi portasse il sinistro nome di Anauroch, il Grande Mare di Sabbia. Le storie che circolavano sul Grande Deserto non si contavano ma tutte concordavano sul fatto che in principio quel deserto fosse in realtà una terra ricca di vegetazione, abitata da uomini e potenti maghi che componevano il secolare impero di Netheril dalle meravigliose città volanti. L'impero cadde a causa dell'arroganza di un uomo portentoso, un mago, che credeva di poter porre fine alla lunga guerra in cui era coinvolta la sua patria contro strane brutali creature che con la magia stavano inaridendo tutto il paesaggio.
Netheril sparì, lasciando il posto all'arido Anauroch.

Sturm non aveva mai visto una distesa infinita di sabbia, così placida ed arida. Non aveva mai visto tempeste di sabbia. Non aveva mai subito le impervie temperature estreme di quei luoghi, di giorno caldi tanto quanto la notte erano gelidi.
E la notte, in quel posto, era la cosa che più lo aveva inquietato: la totale oscurità in cui veniva inghiottito. Il silenzio assordante cui doveva prestare ascolto.

In quei solitari momenti di silenziosa oscurità la mente andava alla mezzelfa. Dyane. Il ragazzone poteva udire la sua voce vellutata, compiaciuta per il paesaggio che si palesava dinanzi a loro. Giusto Selune poteva rischiarare un pò di più il paesaggio, quando non era occultata dalle nubi. Allora tutto tornava a spegnersi e ad affievolirsi. La tenebra regnava sovrana ed incontrastata.

«Vedi Sturm? Quant'è ammaliante il nero immobile? Percepisci la carezza dell'oscurità? La senti sfiorarti ogni fibra del tuo corpo?»
La mancanza di acqua e cibo era diventato un problema letale. Senza parlare del caldo insopportabile. Le allucinazioni si facevano sempre più frequenti, e Sturm, fiaccato com'era persino nell'animo, stava perdendo anche la forza di opporsi a quelle menzogne, preferendo quelle alla più mortale realtà.
Il grosso ruathen, piantato ancora nella sabbia, non riusciva a vedere niente e nessuno però poteva udire una leggera nenia movimentata provenire poco distante da lui.
In quella melodia così fuori posto riconobbe lo stile di Dyane la quale, poco dopo, cominciò a cantare un motivetto malinconico e al contempo deciso e confortevole.

Salve oscurità, mia vecchia amica
ho ripreso a parlarti ancora
perchè una visione che fa dolcemente rabbrividire 
ha lasciato in me i suoi semi mentre dormivo 
e la visione che è stata piantata nel mio cervello
ancora persiste nel suono del silenzio

Nei sogni agitati io camminavo sola 
attraverso strade strette e ciottolose 
nell'alone della luce dei lampioni 
sollevando il bavero contro il freddo e l'umidità
quando i miei occhi furono colpiti dal lampo di una luce magica 
che attraversò la notte... e toccò il suono del silenzio

E nella luce pura vidi 
migliaia di persone, o forse più
persone che parlavano senza emettere suoni 
persone che ascoltavano senza udire 
persone che scrivevano canzoni che le voci non avrebbero mai cantato 
e nessuno osava disturbare il suono del silenzio

"Idioti" dissi "voi non sapete 
che il silenzio cresce come un cancro 
ascoltate le mie parole che io posso insegnarvi, 
prendete le mie braccia con le quali potrei raggiungervi" 
Ma le mie parole come silenti gocce di pioggia, 
caddero e riecheggiarono nei pozzi del silenzio

E la gente si inchinava e pregava 
al Dio magico che avevano creato. 
E i segni proiettarono il loro avvertimento, 
tra le parole che stavano delineando. 
E i segni dissero "le parole dei profeti sono scritte sui muri delle metropoli 
e sui muri delle case popolari.
E sussurrano nel suono del silenzio."*


«... Dolce è il tocco delle tenebre, soave il canto del silenzio...»


[*The Sound Of Silence - Simon & Garfunkel/Disturbed.
 Mi son permesso un paio di ritocchini al testo tradotto]
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#38
XXXVIII

La Baciata dal Fuoco aveva gentilmente concesso loro la nottata libera perchè troppo stanca.
"Meglio così" pensò Sturm rimasto nell'ampio bagno della bottega, fornito di svariate comodità.
Era seduto sulla balaustra della vasca termale, intento a cospargere con un unguento lenitivo le ferite riportate dall'ennesima sfida, consumata e persa, contro Aslaug.
La rossa aveva colpito forte e veloce destreggiandosi tra due minacce come il più esperto dei guerrieri. Ed era solo armata di arco. Con forza risoluta e assoluta precisione aveva abbattuto sia lui che l'Impomatato.
Nel tempo in cui era mancato Aslaug si era rafforzata ancora di più, aumentando considerevolmente le sue abilità da eccellente cacciatrice e spietata predatrice.

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Una forza quella della Baciata dal Fuoco che non era giunta senza sofferenze, sia fisiche che emotive. Ciò le aveva permesso di trovare nuova linfa in altre figure, di riflettere sulle proprie scelte e di avere una nuova e più considerevole consapevolezza di se stessa.
Come Sturm aveva previsto - o scommesso con se stesso - stava emergendo prepotentemente il capo che era in lei.
Aslaug era divenuta la Baciata dal Fuoco.
La Baciata dal Fuoco stava divenendo Jarl.
Jarl Chioma di Fuoco.
Sempre estremamente e selvaggiamente bella, e pericolosamente autorevole.

Sturm l'aveva vista, l'aveva esaminata. Ne aveva ammirato la micidiale precisione e le sode e sensuali nudità ma aveva anche scorto qualcosa di nuovo, un'incrinatura che l'aveva mutata, rafforzandola sì, ma rendendola al tempo stesso vulnerabile alle attenzioni durature di alcune persone annoverate tra la sua vasta stuola di ammiratori.

Il prezzo di tutto questo era stato l'allontanamento definitivo di due delle persone che più avevano definito i punti cardine della cacciatrice: Fjolnir figlio di Bjorful, l'Orso Biondo di Ruathym, e Renfri la Mannara.
Sturm era venuto a sapere da più testimoni che la partenza prima di uno e poi dell'altro avevano gettato Aslaug in una torbida depressione alcolica, accentuata dal dono che la Vanir infine le aveva concesso. La cacciatrice era divenuta più suscettibile alla rabbia, si era chiusa in se stessa, abbandonandosi al nettare del corno magico, nutrendosi solo di rado e assumendo sembianze sempre più smunte.

Per quanto l'orgoglio fosse forte in lei alla fine sia Fjolnir che Renfri erano stati suoi stretti e a dir poco intimi compagni. Tra loro, soprattutto in battaglia, c'era stato un affiatamento davvero invidiabile che rendeva il loro trio devastante ed inarrestabile.
Sturm non sapeva i particolari della faccenda, ne come suo solito voleva apprenderli o capirli, ma era sicuro che il ruathen e la rashemi avrebbero protratto il progetto di fondare un loro clan, multirazziale e del tutto innovativo, lontani però dalle Valli.
In sordina anche il mago Mikael se n'era andato, riducendo ulteriormente il numero di persone fidate e capaci della cacciatrice. Un altro duro colpo.
A Sturm non dispiaceva affatto che un individuo del genere fosse sparito dalla circolazione. Avrebbe proseguito la sua vita con un bel Niostang a portargli quanti più ostacoli e pericoli possibili. Doveva solo alla Baciata dal Fuoco la possibilità di poter muovere sia le dita che la lingua. Sturm li avrebbe mozzati via senza pensarci, ma era stato fermamente ostacolato.

Il grosso ruathen espirò vigorosamente ed imprecò quando tamponò un foro di freccia sul fianco. Fortuna che durante la sfida la rossa aveva usato frecce da caccia relativamente facili da sfilare laddove erano andate ad infilzarsi.

La cocente sconfitta aveva dato l'opportunità di rinnovare e rafforzare la lealtà nei confronti della Baciata dal Fuoco che a quanto pareva godeva anche delle attenzioni e dell'appoggio incondizionato del misterioso e capacissimo Derek l'Impomatato.
Per entrambi però erano previste delle indicibili conseguenze di cui Sturm era totalmente vergine.

Ciò aveva portato anche a delle rivelazioni piuttosto importanti, come la volontà da parte di Aslaug di fondare una vera e propria sigga affiancata proprio da Derek come suo consorte.
Una questione seria, pregna di significato e alquanto delicata.
C'era bisogno di un seguito nutrito, di fama, gloria e rispetto. Ma anche di ricchezze per invogliare i più capaci a farsi avanti ed essere reclutati.
Una base bene o male c'era.
Uno Jarl anche.
Il suo consorte pure.

Non erano che dei primissimi passi per un futuro ancora incerto.

Il ragazzone passò una manona tra i capelli bagnati e pensò. Doveva fare qualcosa di utile ora che aveva un pò di tempo per se stesso. Decise di occuparsi della suddivisione dell'ampio bottino con cui erano tornati giorni addietro. Non un compito che poteva confarsi per un tipo come lui, abituato alla fatica piuttosto che a mansioni mentali, tuttavia, puntiglioso com'era Sturm per le ricchezze e le spartizioni, vi ci immerse, seppur con lentezza di calcolo, con sorprendente impegno.

L'impegno però, oltre che a calcolare la stecca per ogni partecipante, era mantenere lucida la mente e concentrato lo spirito, spesso e volentieri infiammati dalle immagini di una nuda famelica lupa.
La Jarl Chioma di Fuoco.

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#39
XXXIX

Il gracchiare rauco dell'avvoltoio lo ridestò di soprassalto.
L'improvviso sussulto e il rizzare velocemente la testa scaturirono un forte capogiro al grosso ruathen. Davanti a sè un brutto uccellaccio dal corpo piumato di nero e il collo roseo fine e spelacchiato, beccava speranzoso la vuota cavità di un teschio rovinato ed ingiallito.
Quei mangia carogne si stavano facendo sempre più audaci, e fiutando il lezzo della morte, s'avvicinavano sempre di più alla loro preda, tastando prima il terreno circostante.
"Non posso... non voglio morire qua... così" «WUAH!» urlare gli sembrò il gesto più faticoso che avesse potuto mai fare. Le corde vocali raschiarono fortemente tanto da sembrare che dovessero stuccarsi da un momento all'altro. Sturm tossì e sputò il sangue che era salito alla bocca. Seppur con sofferenza era riuscito nell'intento di scacciare l'avvoltoio, di mitigare un pessimo presagio.
Prima di perdere nuovamente conoscenza, tra le onde di calore che distorcevano il territorio, a Sturm parve di scorgere una nera figura lontana.

«Il volto di voi umani è così uguale che distinguervi mi è impossibile. Non c'è nessuno che spicchi perchè io possa degnarlo della mia attenzione» il ruathen riaprì lentamente gli occhi, stanco, ammiccando un paio di volte, accigliato.
Ci mise qualche istante per focalizzare la figura che si stagliava davanti il suo volto, china in ginocchio. Aveva vesti leggere eppur ricercate, le tipiche adatte per un ambiente caldo ed arido come il deserto.
La pelle era bruna e profumata da oli ed unguenti. Sulle braccia sottili semiscoperte potevano chiaramente intravedersi due cobra stilizzati, uno speculare all'altro, che s'arrotolavano ognuno al proprio braccio.
Gli occhi, così come la chioma alta, erano di un nero profondo.
Le labbra carnose erano distorte in una smorfia di altezzoso disappunto, mandando baluginii scarlatti dovuti al rossetto che le adornavano.
Due piccole corna svettavano sulla fronte, all'attaccatura dei capelli.
Le mani, curate all'inverosimile e smaltate di nero, gli toccavano il volto. Le dita affusolate avevano un tocco leggero eppur pericoloso.
Sturm riconobbe quella figura così detestabile e al contempo meravigliosamente esotica, e ne fu scosso. Di paura e di rabbia. Ci fu posto anche per una rapida scarica d'eccitazione.

Majuk.

«L'oscurità è anche questo vedete? Si cela dietro al fulgore accecante della luce. Ti essicca e ti consuma, sbriciolandoti lentamente. Dietro alla luce cova l'ombra che apre le porte alle perdute oscurità! Ove risiedono le vostre insipide lagrime? Non ne avete più da versare? Pensate che sia tutto qui? Che l'afflizione non riserbi altre carte per infliggervi dolore?» nel mentre che la tiefling parlava questa muoveva le sue dita sul volto del giovane ruathen, forse con la speranza di toccare un punto inumidito dalle amare lacrime del dolore e della disperazione.
Lei si chinò ancor di più andando a sussurrargli qualcosa all'orecchio. Un sussurro spietato e deliziosamente conturbante che scaturì gelidi brividi in tutto il corpo del combattente.
«La morte giungerà lenta ed appagante. Inevitabilmente ne soffrirete. Maledirete tutto e tutti. Io sarò qui ad udire le vostre paure, accoglierò i vostri pianti ed accudirò il vostro dolore. Conserverò tutto. E una volta che perirete, sarete mio per l'eternità. Per l'intera non vita».
La tiefling espirò un poco quindi sfiorò l'orecchio con la punta della lingua prima di ritrarsi e coprire la faccia del guerriero ruathen con la propria mano.

La visuale si oscurò di nuovo mentre il tocco leggero dei polpastrelli continuò a muoversi sul suo volto. Cinque dita che sondavano i suoi tratti squadrati e marcati.
Un sesto tocco.
Un settimo.
Un ottavo.


Una folata di vento.
Sturm scosse forte la testa.
Qualcosa cadde a poca distanza da lui. Ruotò il capo e sgranò gli occhi capendo cosa in realtà gli stava accarezzando il volto.
Un dannato verme uncinato del deserto. Uno scorpione.
V'era già un nutrito sciame di mosche, tafani e moscerini che gravitavano intorno il capo di Sturm, laddove il cammello aveva rilasciato le sue deiezioni. Non voleva di mezzo altri insettacci che potevano rendergli ancor più complicata quella situazione.

Si costrinse a respirare lentamente - anche se il lezzo dello sterco lo rendeva assai difficile - e a ragionare. Quante altre bestie potevano presentarsi per banchettare col suo corpo che andava sempre più deperendosi?
Doveva assolutamente fare qualcosa.

Una luminosa quanto fugace immagine di quando scappava da Ruathym gli balenò nella mente. Una scena: la fame che mordeva lo stomaco, il sapore rivoltante della carne cruda e del sangue caldo, e le parole di Ffolk.
«Sopravvivere richiede fondamentalmente due cose: acqua e cibo. Per il cibo non bisogna essere schizzinosi, si mangia quel che si trova, e soprattutto quel che è commestibile. Non si butta niente. Non deve piacervi ma servirvi solo a ridarvi forze ed energie per continuare a vivere. Se poi beccate cibo avvelenato, beh, cominciate a spillare il nettare dorato al Banchetto della Grande Sala arh!»

Sturm espirò vigorosamente alzando uno sbuffo di sabbia.
Guardò il nero scorpione che dopo la caduta aveva deciso di rimanere fermo, con la coda uncinata ben ricurva.


Sapeva cosa fare.
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#40
XL

Aveva deciso di attuare la stessa strategia dello scorpione anche se il ronzare costante degli insetti rendeva il tutto molto più difficile. Rimanere in pazienta attesa fu una sofferenza ma alla fine lo scorpione si mosse. Passo dopo passo l'animalaccio s'avvicinò inerpicandosi di nuovo sul volto del giovane.
Percorse un breve e lento tragitto. Dalla tempia si mosse sull'occhio chiuso, poi sul naso ed infine scese sulla bocca.
Fu allora che Sturm spalancò la bocca per poi richiuderla subito con un sonoro schiocco, strappando via la coda dello scorpione. Questo rimase appeso alla faccia del ruathen con le proprie zampe a tenaglia, chiudendole e facendo zampillare un pò di sangue. Sturm urlò dal dolore ma si costrinse a non dimenarsi troppo per non farsi scappare la preda.
Sputacchiò per liberarsi del resto della coda dell'aracnide, quindi scosse la testa in maniera tale da far finire l'animale nella bocca. Grugniva ed ansimava ad ogni scossa, ruggendo di dolore ad ogni pinzata dello scorpione che incideva la carne e la portava via a piccoli frammenti.

Alla fine però lo scorpione cadde preda dei denti che lo schiacciarono, fino a tritarlo e farlo diventare una massa pastosa informe.
Sturm masticò cercando di respingere la repulsione di vomitare bile. Era a digiuno chissà da quanto che diamine poteva mai vomitare se non la propria anima? Sicuramente dopo aver ingurgitato parte dello scorpione avrebbe sofferto la febbre e ancor più deliri.

D'improvviso un bramito squarciò l'aria. Un verso che Sturm trovò rassicurante e alquanto speranzoso. Ma proveniva da dietro la nuca, a qualche metro da lui.
«Dai bello! Vieni qua! Continua bello dai... dai» il battito del cuore accelerò talmente tanto che a Sturm sembrava di vedere i granelli di sabbia vibrare ad ogni pulsazione del cuore. Il respiro si fece più affannoso nella bruciante attesa di rivedere un maledettissimo cammello che poteva significare una sola cosa: salvezza.

«Non te ne andrai da qui. Morirai solo, lentamente, di stenti. Brucia. Che l'oscurità di colga!»
Ancora Majuk.
Sturm volse il capo di lato per squadrare quell'ennesima allucinazione ma l'oscurità lo colse veramente.
Potè vedere con la coda dell'occhio la tiefling alzare un piede e farlo ricadere sulla sua testa con forza.
L'oscurità esplose in tanti piccoli cerchi colorati, un dolore incredibile s'irradiò dalla nuca fino a tutta la testa.

E i sensi vennero meno, ancora una volta.
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