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[Sturm Greif] Come Folgore dal cielo.
#23
XXIII

Le Valli.

Chi aveva detto che la costrizione di vivere lontano da Ruathym dovesse per forza essere considerata un'esperienza negativa?
Certo, Sturm aveva perso tutto.
La casa, gli amori, gli amici, la patria. Se stesso.
Ma non i nemici, quelli no, anzi, se possibile erano aumentati a dismisura proprio a causa dell'ingiusta condanna subita.
Il soggiorno forzato su Faerun non era del tutto da criticare, c'erano molte cose con cui potersi arricchire sia materialmente che moralmente.
Ciò aveva avuto un impatto non indifferente su Sturm che aveva avuto l'opportunità di vedere il mondo sotto un'altra prospettiva.
In quel che era il suo popolo vigevano molte tradizioni che condizionavano un ruathen, non che sul continente si fosse più liberi. Le leggi che vigevano sui territori erano molte, complesse, e cambiavano spesso a seconda del luogo, o della città. Un limite anche quello che però teneva un alto margine di libertà, sia di pensiero che di azione.
Sturm non avrebbe mai dimenticato quelle tradizioni che lo avevano reso quel grosso omaccione che era diventato, infondo era nato e cresciuto secondo i dettami ruathen. Anche se di fatto, per la sua gente, non lo era più lui riservava ancora un sano orgoglio personale, ed uno smisurato ed impetuoso spirito battagliero.
Gradualmente il grosso ruathen aveva fatto sue alcune abitudini continentali, anche il modo di pensare si era adattato alla nuova vita senza però perdere l'identità precedente. Stava accumulando un bagaglio culturale non indifferente di cui però ne era totalmente ignaro.

Queste sfumature rendevano Sturm dissimile da quelli che erano suoi compatrioti. Soprattutto dal valoroso Fjolnir figlio di Bjorful, il Biondo Orso, o la Montagna come era solita riferirsi a lui Dyane.
Fjolnir seppur in terra straniera manteneva un legame indissolubile con Ruathym. Seguendo le tradizioni era come non fosse mai distante da casa, e ciò lo portava spesso a cozzare con uno Sturm non più vincolato da quegli ormai lontani costumi.
Differente era Aslaug Baciata dal Fuoco.
Più in linea con Sturm manifestava una più ampia tolleranza verso tutto ciò che la circondava. Non sembrava particolarmente legata a chissà quale tipo di vita, ciò che più sembrava premerle era la propria libertà. Era testarda su quel punto, così testardamente ruathen che spesso si metteva nei guai.
Sturm era convinto che alla Baciata dal Fuoco spettasse un percorso arduo e ricco di insidie, insieme al suo fido e possente guardaspalle Fjolnir, e che alla fine di tale sentiero ci fosse un'estimabile ricompensa ad attenderla.
Era o non era la figlia dell'attuale compagna dello Jarl del suo clan? Il futuro doveva riservarle per forza qualcosa di degno. Lo si denotava dal suo comportamento ardito e determinato, dalla sua cocciutaggine e dalla sua pericolosa furbizia.
In lei Sturm rivedeva un pò quella che era stata l'importante figura di Jarl Froston.
Aslaug, la Baciata dal Fuoco: un nome adatto e dall'epiteto fiero, degno di un capo. Sturm se la immaginava spesso seduta su lo scranno da Jarl, a capo della sua gente, dei suoi guerrieri. Deteneva un portamento innato ed autoritario.
L'indomita, pericolosa e fin troppo sensuale Aslaug Baciata dal Fuoco.
Un grande futuro le si allargava dinanzi, promettente e glorioso.

Non proprio come quello di Sturm.
Il suo di futuro era ancora del tutto incerto seppur molto ambizioso.
L'unica cosa che gli sembrava essere sicura era il suo impiego, ma ultimamente neanche più quello.
Mercenario e combattente di ventura.
Il primo ruolo sembrava solo un vago ricordo. Sin da quando era giunto nelle Valli non si era mai imbattuto in qualche incarico che richiedesse forza bruta, un'armatura o anche una semplice scorta.
I lavori venivano sussurrati e poi persi tra le voci di corridoio del popolino.
Nessuno combatteva battaglie o semplice innocue schermaglie. Nulla di tutto ciò, niente di niente.
L'unica minaccia di cui aveva udito era riguardo un capo goblin di nome Rez di cui però si erano perse le tracce e le notizie.

Doveva compensare, rimanere con le mani in mano lo annoiava a morte, così si era gettato all'avventura.
Ed ogni volta era una scommessa impari: troppo da perdere e non molto da guadagnare. Il guadagno rappresentava sempre un azzardo, mai certo, e se c'era, mai troppo congruo.
Il costo era sempre alto ma non per questo per forza negativo. A Sturm piaceva mettersi alla prova. Le ferite segnavano la storia su di lui. Il sangue, la fatica ed il sudore erano il dazio da pagare per migliorarsi continuamente.

Questo genere di vita lo aveva portato ad imbattersi in una moltitudine di persone che come lui avevano scelto di darsi all'avventura, chi per gloria, fama e ricchezza, chi per riscatto personale o per redenzione. Le motivazioni, come le persone, erano molteplici.

Nell'ultimo periodo si era deliberatamente avvicinato con insistenza alla schiva figura di Sitkah.
Da quel che Sturm aveva capito quella donna doveva provenire dal Nord, o almeno da una terra molto simile a Ruathym in termini di clima e spietatezza.
Aveva delle sfumature che gli ricordavano un pò una ruathen eppure era qualcosa di meno, ma anche qualcosa di più. Di molto di più.
Il suo carattere schivo ed intrattabile avevano dato una prima impressione errata a Sturm, pensava che sarebbe durata poco, che nessuno si sarebbe potuto trovare a suo agio con una figura simile al fianco. E invece s'era dimostrata di tutt'altra pasta.
Non che fosse una sunita che mostrasse le sue bellezze alla gente ma era sicuramente diversa da quel che sembrava a prima vista.
Mantenendo sempre un portamento pacato e discreto s'era dimostrata un'ottima arciera, cacciatrice ed apripista. Cinica e pratica affrontava la situazione con indissolubile realismo, valutando bene ogni possibilità.
Ed era umile quanto bastava, senza ammettere ciò che molti le facevano notare: che aveva guadagnato uno spessore non indifferente tra coloro che la conoscevano, specialmente nel loro gruppo di ventura.
Spessore ed influenza.
Così tanta influenza da poter condizionare diplomaticamente alcune persone altrimenti intrattabili, peggiori di lei in momenti di foga e rabbia.
Ciò le era valso il fiero nomignolo di Domatrice.
Nomignolo che si impuntava di non meritare ma che secondo Sturm non le dispiaceva, non come le invadenti attenzioni che lui le riservava ogni qualvolta ce n'era possibilità.

[Immagine: 2n6c7qu.jpg]

Attenzioni che aveva anche riservato per una nuova aggiunta alla cricca che andava sempre più arrotandosi: Dyane la Skald.
Sturm era stato catturato sin da subito dall'aspetto di Dyane, affascinante di natura per il suo retaggio meticcio, e caratterialmente, decisamente più aperta e affine al ragazzone ruathen, diametralmente opposta a Sitkah.
Sturm aveva notato gli sguardi e le reazioni degli altri e non gli era sfuggito un certo senso di competizione che si era ridestato tra le donne del gruppo.
Fosse stato un altro momento lo avrebbe fatto notare a tutti, ma si ravvide dal farlo.
Ciononostante la presenza di Dyane aveva creato un certo scalpore, come giusto che fosse, ma il motivo principale risiedeva nel fatto che fosse una Skald, una cantastorie. E non c'era nulla di più inebriante per un ruathen avere al proprio seguito qualcuno che potesse raccontare con talento le gesta da lui compiute.
A Ruathym chi raccontava per sè e chi si autoproclamava epiteti veniva screditato o deriso al più. Il valore di un ruathen veniva enfatizzato se era qualcun altro a parlare, a testimonianza degli eventi accaduti.
I racconti nella cultura ruathen detenevano un gran potere, in grado di elevare ad eroe un uomo o, in casi peggiori, di affossarlo e dannarlo per l'eternità.
Dyane s'era subito dimostrata interessata a loro, per nulla preoccupata di far trasparire il suo interesse famelico per dei racconti degni di nota. Ed i ruathen, e non solo loro, non vedevano l'ora di dispensare i loro più svariati ed infiniti aneddoti.
Sturm l'aveva inquadrata un poco. Gli piaceva il suo modo di fare e di pensare. Era una persona a cui piaceva sporcarsi le mani così da poter vivere al meglio ogni avventura e raccontarla, se possibile, con più particolari e realismo possibili.
Dyane poteva essere la loro più grande fortuna: era come se in mezzo ad una fitta coltre di nebbia si fossero stanziati i profili sfocati dei cancelli per il Campo della Gloria Eterna. Dyane era la luce che li avrebbe guidati fin là, ed era anche la chiave che avrebbe loro aperto i cancelli.
Il tutto stava nel compiere qualcosa degno di un racconto. A Ruathym il tutto veniva tramandato oralmente poichè l'atto della scrittura era considerato blasfemo e disonorevole. Ma in quel momento non erano sulla fredda ed inospitale isola di Ruathym.
Si trovavano su Faerun, dove libri, inchiostro e parole vergate avevano un grandissimo valore: parole che avrebbero formato racconti, che sarebbero poi divenuti leggende, ed infine miti.
Non pensava ad altro Sturm.
O forse sì, pensava anche ad una Dyane che fuoriusciva dalle acque termali in tutta la sue seducente femminilità meticcia. Luccicante d'acqua.
Senza veli.

[Immagine: 291gifa.jpg]

Come quei tre che più in là nella stanza, dati i grugniti vigorosi e i promiscui gemiti di piacere, dovevano darci dentro di santa ragione.
Se la stavano spassando alla grande.
Sturm imprecò a denti stretti.

Quanto li invidiava.
[Immagine: Webp-net-resizeimage.png]
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RE: [Sturm Greif] Come Folgore dal cielo. - da cotoletta - 10-10-2017, 16:13

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