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[Maragorn Fennec] Diario e appunti di viaggio
#19
L’orrore è tornato a bussare alla mia porta e questa volta ha presentato un conto che poteva essere assai più salato.
Ero tornato dal Cormanthor da un giorno quando ho incontrato Michaela alla locanda del Cervo Bianco. Abbiamo parlato un po’, era da un discreto numero di giorni che non la incontravo, tra i miei viaggi e i suoi impegni con il tempio del piangente ci eravamo persi di vista. Tra una chiacchiera e l’altra è uscito il fatto che si sarebbe dovuta recare a Mith Drannor per un incontro con padre Ivor Chernov, un sacerdote del suo ordine, ma che non aveva la minima idea di come arrivarci. Il cartello delle destinazioni delle carovane non segnalava fermate alla capitale elfica e nella stazione di posta non c’era nessuno a cui chiedere.

Chiaramente le spiegai che bisognava prendere la carovana per Elven Crossing e da lì proseguire tramite un portale magico. Mi offrì quindi di accompagnarla a patto di andarci a piedi, dato che la distanza non era eccessiva.
La passeggiata, perché di questo si trattava, fu molto rilassante. Avevo una mezza idea di fermarmi ad Elven Crossing una volta accompagnata al luogo dell’appuntamento e, nel mentre, ero deciso a godermi la compagnia della paladina. Per inciso, trovo che sia una persona piacevole, gentile e molto empatica ma, seppur gradevole, il viaggio fu breve e in poche ore fummo al centro di Mith Drannor in vista della locanda.

In quel preciso istante una forte sensazione di smarrimento si impadronì di me. Dapprima un mal di testa via via più forte, voci che si rincorrevano nella mia testa accompagnate da un’orribile sensazione di sprofondare nel terreno, non mi reggevo più in piedi e il mio corpo bruciava, come se fossi stato sprofondato nell’abisso da un demone infernale. Non sapevo cosa fare, avrei voluto urlare dal dolore ma dalla mia bocca non usciva alcun suono, tutto mentre sentivo che il mio corpo bruciava. Poi, davanti a me, quell'occhio infernale che mi scrutava, lo stesso occhio che aveva il vecchio Thomas poco prima di morire. Più passava il tempo più sentivo di star perdendo il controllo poi, di punto in bianco, esattamente come è iniziato tutto, la sofferenza cessò lasciando spazio a un forte senso di disorientamento. Ero sdraiato su una panchina, nel cortile della locanda, le iridi ultraterrene di Michaela che mi fissavano preoccupate e un monaco, che ho scoperto poi essere il confratello della paladina, che cercava di farmi rinvenire usando rimedi erboristici. Non so se quello strano stato cessò grazie agli sforzi del monaco o se avvenne solo perché così doveva essere ma stavo quasi bene, almeno fisicamente. Ancora mi doleva la testa, soprattutto se cercavo di ripensare a quel terribile occhio. Provai a disegnarlo per focalizzare meglio i miei pensieri ma, ogni volta che tentavo di tracciare i contorni dell’iride, la testa riprendeva a pulsare tanto da non riuscire più a tenere in mano la matita.
Gli impegni dei due ilmateriti li chiamavano lontano e per questo decisi di entrare a riposare prendendo una stanza in locanda.

Una volta dentro accadde l’ennesimo fatto inspiegabile della giornata.
Una fitta alla schiena mentre ero seduto allo scrittoio e un rumore sordo di impatto con il legno del pavimento. Per terra, sotto i miei piedi, c’era una di quelle lische deformi che avevamo trovato tra i resti del vecchio Thomas e del cavallo. Mi guardai allo specchio, sfruttando i due presenti nella stanza e notai che, in prossimità della mia zona lombare, vi erano dei piccoli forellini in corrispondenza al punto dove quello strano essere doveva essersi attaccato.
Possibile che sia rimasto attaccato al mio cappotto per tutto questo tempo e che durante la "passeggiata" con Michaela si sia attaccato alla mia schiena? Non avevo nulla sulla pelle almeno fino alla sera prima, quando ho fatto il bagno. Pensando queste cose decisi di raccoglierla per osservarla da vicino commettendo la prima vera leggerezza. La presi in mano con l’ausilio di uno dei guanti della mia tenuta da caccia e sentì la testa svuotarsi. Era come se mi guardassi dal di fuori muovermi e spostarmi. Poi il buio. Tutto ovattato, non solo i suoni ma anche le sensazioni: il sole sulla pelle, ammesso fosse il sole quello che sentivo, poi il vento, lo spaccarsi dei rametti sulla strada al mio passaggio; tutto aveva il medesimo suono di quando si cammina su uno spesso tappeto di lana. D’un tratto, non so dire quanto tempo era passato, sentì delle voci via via più nitide, quasi familiari. Lo dovevano essere per forza perché, quello che da prima sembrava un mugolio senza senso piano piano prendeva forma e suono conosciuti, stavano chiamando il mio nome. Uno strattone e poi il fiato mancare. Bruscamente ripresi possesso delle mie facoltà mentali, sopra di me avevo Graster e Lilnuviel che mi tenevano saldamente attaccato al suolo e, questo lo scoprì in un secondo momento, mi avevano appena strappato dalle mani la lisca deforme. Mi guardai attorno e vidi i resti della fattoria del vecchio Thomas e i miei compagni armati e pronti a intervenire, tutti concentrati sul pozzo.
Non sapevo cosa Eitinel avesse scoperto nelle sue ricerche ma, in quel momento, la mia mente avrebbe trovato ben più importante scoprire come avessi fatto ad arrivare lì e quanto tempo ci avessi messo a percorrere la via in quello stato di semi incoscienza. Questo almeno fino a che un rumore sordo proveniente dal fondo del pozzo, simile a un ruggito, mi diede un ulteriore scossone. L’imboccatura della cavità era completamente ricoperta da quella sostanza viscosa di un colore indefinito e, da come tremava la struttura esterna, sembrava che qualcosa di molto grosso stesse tentando di uscire fuori. Senza capire il perché, imitai i miei compagni ed imbracciai il mio arco, incoccai una freccia ma non riuscii a tenderlo dato che ancora mi tremavano le mani e la freccia non voleva saperne di restare nella posizione corretta. Non sarei stato di grande aiuto in un combattimento quindi speravo, come tutti, che quella cosa non riuscisse a venire alla luce.
Fortunatamente Eitinel, con un incantesimo, sciolse le rocce tutt'attorno, modellandole e trasformandole in un grande tappo volto a sigillarne l’imboccatura. Per ora era finita ma in cuor nostro sapevamo tutti che sarebbe stata solo una tregua temporanea. Quel mostro ancora si aggirava nel dedalo di grotte sotterranee dove scorrono i fiumi quando scompaiono alla vista in superficie e, sicuramente, non vi sarebbe rimasto per molto.
Avrei avuto comunque modo, nei giorni successivi, di informarmi sulle scoperte fatta dalla maga dal cappello a punta.
 
*Dopo alcuni giorni dalla stesura della pagina, compare il disegno di un occhio dalle molteplici iridi dal tratto piuttosto indeciso*

[Immagine: 1NOzcuA.jpg]

- Dm Nyx -
Una vita da mezzadro, anni di fatica e zappa per poi prendere una spada.

PG: Maragorn Fennec  Diario / Portrait
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RE: [Maragorn Fennec] Diario e appunti di viaggio - da mighelio - 01-11-2019, 13:18

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