27-05-2019, 12:15
Come la fortuna toglie, così dà.
Non c’erano madre e padre, per me. C’eravamo solo io, Raelwen e una casa grande e vuota per la maggior parte del giorno. Lei era fuori per lavorare il giorno , talvolta anche la notte, e io restavo a casa a chiedermi perché lei fosse un’elfa della luna e io assomigliassi a un elfo dei boschi. Poi mi disse di non essere la mia vera madre, mi disse di considerarla un’amica di famiglia. L’avrei potuta chiamare ‘zia’, o se proprio volevo ‘madre’. Ma ero un bambino, e per me lei era semplicemente Raelwen: lo era fin da quando imparai a parlare e lo rimase fino all'ultimo. Vivevamo nella grande casa vuota piena di fiori secchi, libri trascurati pieni di canzoni e favole di sprovveduti che andavano a cercare la fortuna. Me li leggeva prima che andassi a dormire – e anche da piccolo cercavo di resistere il più possibile per farmene raccontare di più. Poi imparai a leggere, ma fingevo di essere troppo stanco per soddisfare da solo la mia voglia di racconti.
Avevo bisogno di qualcuno, ero un bambino d’altronde. E Raelwen, paziente, si sedeva su uno sgabello traballante a leggere. Com’è possibile prendersi cura di qualcuno con cui non si condivide il sangue e compiere questi sacrifici? Il giorno lavorava – non ricordo dove, forse in locanda – e la notte tornava a casa per prendersi cura di me. Mi diceva di non aprire a nessuno la mattina, e mi presentava ragazzi e ragazze della mia età che vivevano ad Arabel affinché avessi qualcuno con cui giocare mentre lei non c’era. Forse lo faceva perché sapeva che non potevo venir su normale a stare troppo da solo, o forse perché la rassicurava sapendo che un gruppo di ragazzini faceva più rumore – e quindi era più semplice da ritrovare – rispetto a un piccolo mezzosangue pestifero.
Mi conosceva meglio delle proprie mani: ricordo che erano sempre troppo grandi per le mie, e m’incantavo a guardarla mentre faceva sparire le monete tra le dita. E poi anche lei se ne andò, chissà dove e chissà perché. E la casa smise di essere silenziosa di giorno e diventò silenziosa anche di notte. Passai la notte in bianco quando mi disse che dal giorno successivo in poi sarebbe stato padre Jackob. Jackob Clover, un chierico di Tymora il cui cognome significa “trifoglio”. Fa quasi ridere. Quante notti in bianco avrà passato Chesduk da quando Baernysse se n’è andata? E lei avrà passato ore insonni mentre pensava di andarsene?
Lendral Ravenwood